2008/08/04

Piedi d'asfalto

Ok. Proviamo un attimo a fare i blogger seri.
Domani parto. Vado a Sarajevo. Cioé prima in Croazia al mare e poi a Sarajevo. Mi tiro dietro quattro amici.
Ho passato quasi tutto luglio a Milano. Mi sono maturato (?!) il primo. Ho visto tanti film e tanta bella gente, che poi il giorno dopo partiva.
Il 26 luglio era un anno dal trasloco: quindi il 23 era un anno meno tre giorni - 363 giorni - che quel che dovrebbe riempire i miei scaffali colmava le mie scatole, non figurate. Hah! (scherno) A un anno intero, non c'è arrivato.
Invece l'altro ieri era un anno pieno da che non mi taglio i capelli.

Sempre l'altro ieri mi è venuta un'idea per un racconto. Ma domattina parto. Per questo sono qui alle tre di notte: per lasciare se non altro un primo "episodio" (eh già - ripiegare sull'episodico è un lusso che-- mi permetto?).
Quindi basta fare i blogger seri! ed ecco questo brano in pregiato stile "irritante".

Piedi d'asfalto
a Chinatown - Prima parte

Scalpore: e interrogativi, e un dilemma lacerante di natura etica (soprattutto) e (tra i più "sgamati" o cinici - se mi si permette) funzionale, nell'opinione pubblica: quo bono?!, impiantare un uomo vivo sull'Incrocio? Lo chiamavano l'Incrocio, perché era un incrocio; ma una lieve flessione vocale lo faceva monumentale, di maiuscolità, e quindi: l'Incrocio. Che tirasse sopra di sè tutti quanti i media lo promuoveva di grado, in un mondo gerarchizzato, cosicché asserire che era una specie di uomo medio, o mediocre, o recluta semplice degli incroci, era scarsissimo rispetto, dacché la flessione; e la grandiosità. Questo l'ha creduto un giornalista, o una cosa simile, presumo almeno. «L'Incrocio: SPETTACOLARE.»
Era quello fra viale Lazione e la via Pio Bove ricca di cespi, proseguenti in via Curiazio celebre sede del Liceo Boito molto prestigioso classico a indirizzo "orientale", a due passi da via Sarpi: cuore e arterie della misteriosa fascinosa Chinatown milanese. Proprio qui si consumava la follia di un esperimento psicologico inaudito, con spettatori inconsapevoli un palazzo color gambero con le tegole cromate, come scaglie, uno grigio pesce di lago con giù il calzolaio, e poi il giardino buttato lì sprecato mezzo inutilizzato del liceo, e altri; silenziosi, ma dagli la bocca, n'avrebbero da raccontare (così diceva il bisnonno, ovvero - la buonanima sua). Il giorno concordato dalle autorità era il tre di agosto, per levarsi subito la stagione calda.
Mormorava tuttavia il pubblico di carne e... spirito, e si muoveva chi più irruente chi più mi-sgranchisco-le-gambe, meditando: «io resisto due minuti, ma come fa il po'raccio, ma perché»; taluni individui e tamarri col cappelletto esortavano e incitavano, mentre i concreti disapprovavano, i più "antagonisti" con fortissime bestemmie da taverna. E i poliziotti. In tutto un migliaio all'Incrocio per lo spettacolo, o sacrificio. Alle tre arriva la vittima, il bue volontario, circondato dai tutori della legge in divisa blu e da qualche scienziato, vi ometto i funzionari municipali catarifrangenti giallo o arancio: è uno Zeno Mariotti, bassoccio e magroccio senza barba, e senza alcun ritegno; lo faceva per i soldi. Sei mesi sull'Incrocio uguale tanti euro, ma se sgarri, o rinunci, metti il piede fuori, ZERO euro: anzi paghi la condizionale, questi i termini, sì. (Il contratto comunale doveva più o meno recitare così, è una ricostruzione accurata.)
Uno scienziato col camice intriso del più bieco sudore strascinava, col supporto di una carrucola, una specie di cannone al plasma, con delle... strutture tubolari, boh, e pannelli solari - chiaro, v'era difetto di cavi e farlo andare a pile, ce ne vorrebbero di assurde: enormi - finché collocò con cura il marchingegno nel punto scelto, baricentro dell'incrocio trapezoidale. «Adesso non guardate; o i danni alla vostra retina potrebbero essere irreparabili», disse maestoso, e indossati gli ampî occhiali protettivi l'interruttore spostò con un sol dito.
Non ho veduto il raggio al plasma: ora ho due occhi sani e due bambini sani; grazie a Dio e faccio gli scongiuri. Un amico dei miei ha sbirciato, e pure ci vede come un'aquila; è sterile sì come un mulo, ma probabilmente il plasma e annessi sono irresponsabili: cioè scevri d'ogni colpa o fallo. Mi racconta talvolta, nelle gelide serate d'inverno con sua moglie e non madre (o scevra, lei, d'ogni maternità) - quando sediamo sul divano blu della stanza verde e ci versa della vodka a flusso generoso - che quel raggio era così, oh così potente, e luminoso, che vi aveva fondato un sistema quasireligioso per cui quel plasma "condensava" l'entelechia; ...o conteneva comunque la vita inglobata, perfetta in atto: che lui non aveva in potenza, di donare. Era il suo piccolo segreto e consolazione esistenziale. Al che io: cosa non fa la gente per tirare avanti, quando l'infertilità è la dimensione sostanziale del tuo esserci! Povero! Dice anche che l'asfalto si scioglieva e colava come del vero burro "maschio", rigoglioso di buon grasso animale: che lo spalmi e puoi quasi sentire i muggiti, solidi e baritonali. (E anche qui lo psicanalista ci si butta a pesce e ci sguazza pure.)
Beh: «Vi concedo nuovamente il dono della vista» sclamò più o meno il camice sudoroso, a operazione conclusa. A fianco lo Zeno Mariotti si fletteva frenetico e si piegava, mentre una cinese gli diceva di star fermo un attimino, e tirava dolcissimi schiaffetti impazienti sui piedi nudi: c'era da ricoprirli d'uno spesso strato di glassa gelida - ne reggeva una porzione abbondante nel palmo sinistro - per prevenire le più serie ustioni; la premurosa. L'unzione si protrasse pastosa, per un denso quarto d'ora: alle quattro e qualcosa era tutto pronto e allestito per bene: qualche sospiro, tre passi meccanici, e affonda le caviglie nel bitume bollente. Accolte da un gorgoglio festoso.
Un medico da lato accorre con un foehn speciale, o grosso asciugacapelli, per risolidificare presto l'asfalto.

(continua)